|  |   La catacomba dove l'undicenne Cristina fu sepolta e che  oggi porta il suo nome, come tutti i cimiteri dell'antichità, si trova fuori dell'area  urbana, a poca distanza dal limite meridionale dell'antica città romana di  Volsinii, nei pressi di una strada che è, con ogni probabilità, da identificare  con la via Cassia ed in un territorio adibito a necropoli già in epoca molto  precedente.
            Il cimitero paleocristiano è attualmente inglobato in una seria di edifici  medioevali e moderni, sorti e sviluppatisi nel corso dei secoli, in funzione  del venerato sepolcro della martire e, dal 1263, del famoso Miracolo  eucaristico; edifici che nel loro insieme costituiscono il complesso  monumentale della Basilica di Santa Cristina.Con la precoce decadenza della romana Volsinii, già agli inizi del IV secolo,  contrastano però le notevoli testimonianze paleocristiane. I due cimiteri della  città, quello di santa Cristina e l'altro in località Gratte, nonché  la trasformazione della Basilica civile nel foro di Volsinii in luogo di culto cristiano indicano invece come la  città fosse densamente popolata e che in essa fosse attiva una fiorente e  vivace comunità cristiana già agli inizi del IV secolo. Le testimonianze  letterarie su questa prima comunità sono invece relativamente tarde. Si deve  giungere all'anno 494/‘95 per trovare la più antica notizia di un episcopato  volsiniese, mentre i dati archeologici e monumentali ci rimandano ad un'età ben  più lontana, collegandosi con la figura di Santa Cristina venerata come martire locale.
 La fortunata posizione del santuario martiriale sulla via Cassia contribuì  notevolmente allo sviluppo e al diffondersi del culto di Santa Cristina già in epoca remota e in tutto il mondo cristiano. Anche le guide di viaggio  dei pellegrini medioevali e le "memorie romee" ci  testimoniano dell'esistenza di un luogo di culto dedicato alla martire, tanto  che in queste, spesso, la submansio di Bolsena, e così anche  il suo lago, sono identificati col nome della santa.
 Nella Tabula Peutingeriana del III secolo, la città è chiamata Volsinii,  nell'Itinerario Ravennate del VII secolo è detta Bulzini mentre in quelli di  San Dunstano (900), Sigeric di Canterbury (990),di Nikulas di Munkathvera  (1151-54), di Filippo Augusto Re di Francia (1191), di Londino (1253) e in  Domenico di Guzman porta il nome della martire.
 Di fondamentale importanza per una datazione  sull'origine della basilica  di santa Cristina e del culto prestato alla santa, rimangono sempre i reperti  archeologici e le testimonianze monumentali che ci documentano una  frequentazione devozionale del sito dal IV al X secolo.
 Nel secolo VI l'immagine di Santa Cristina appare nei mosaici  ravennati di Sant'Apollinare Nuovo nella teoria delle sante vergini più  venerate nell'occidente cristiano. Contemporaneamente un luogo di culto a lei  dedicato sorgeva a Roma nei pressi di San Paolo fuori le mura,  un altro nell'agro di Capena e nella località di Santa Cristina d'Aro in  Catalogna.
 Nel X secolo il culto alla Santa di Bolsena è testimoniato un  po'in  tutto il mondo cristiano.
 Furono certamente i pellegrini che contribuirono al fiorire di numerosissimi  luoghi di culto sulla via Francigena, sulle sue molteplici diramazioni e lungo  la via per Santiago de Compostela: nella sola Galizia sono ancora oggi 32 le  parrocchie dedicate alla santa e altrettante nella sola Toscana.
 Il culto si diffuse seguendo la direttrice sud nord, intensificandosi   verso ovest e rarefacendosi verso l'est europeo, infatti le maggiori e più  numerose testimonianze le troviamo in Toscana, Emilia Romagna, Lombardia,  Piemonte, Francia, Spagna e Portogallo.
 
 Molteplici ed antichissime tradizioni ci narrano del trafugamento delle  reliquie della martire dal suo santuario bolsenese; così affermano le Chiese  locali di Sepino, Palermo, Tuscania, Pisa, Labeuvriere, Ravensburg,  Herzebrok...
 Nel 1880 una importante e fortunata campagna di scavi archeologici, nella  basilica di Bolsena, alla quale parteciparono eminenti  studiosi come Enrico Stevenson, Adolfo Cozza, Giovan Battista de' Rossi, ecc.  riportò alla luce una notevole necropoli paleocristiana, il primitivo luogo di  sepoltura della martire, parte delle sue reliquie rimaste all'interno del sarcofago  violato e tutta una serie di importanti testimonianze monumentali tali da  rendere certa la devozione nei confronti della Santa a Bolsena fin dal IV secolo, facendo luce su quanto il tempo aveva sedimentato di  leggendario e di poetico su questa bella figura di santità della Chiesa dei  primi secoli.
 
 Santa Cristina, fin da epoca medioevale, venne invocata  speciale patrona dei mulini e dei mugnai, di arcieri e balestrieri, dei marinai  e dei bambini. A lei si ricorreva anche per la guarigione dal morso delle  serpi, malattie allo stomaco ma, soprattutto, per la liberazione degli ossessi  dal maligno e per donare la fecondità alla terra e alla donna.
 Sempre in epoca medioevale la sua immagine si standardizza con gli attributi  iconografici caratteristici della macina da mulino e delle frecce.Ll'iconografia  della nostra Santa è ricchissima ed ha interessato i maggiori artisti di ogni  epoca, come lo Pseudo Jacopino, Paolo Veneziano, Lorenzo Veneziano, Nardo di  Cione, Sano di Pietro, Antonello Gagini ,Jacopo Palma il Vecchio, Cima da  Conegliano, Benedetto Buglioni, Andrea della Robbia, Lorenzo Lotto, Lucas  Cranach, Luca Signorelli, Joos Van Cleve, Vincenzo Catena, Paolo Veronese,  Domenico Tintoretto, Palma il Giovane, Bernardo Cavallino, Francesco Guarino,  Carlo Dolci, Francesco Cairo, Antoon Van Dyck, Guido Reni, Francisco de  Zurbaran…
 
 Il ritrovamento della tomba di santa Cristina
 Le generiche e confuse notizie letterarie sul luogo di sepoltura di santa  Cristina, le molteplici tradizioni locali che affermavano il trafugamento del  suo corpo dal santuario di Bolsena e le complesse questioni agiografiche  indussero il clero e il municipio di Bolsena a ricercare un indizio, un segno  che accennasse all'esistenza del sepolcro della martire.
 La devozione e la tradizione locali mai avevano smesso di indicare, nella  basilichetta ipogea,scavata e costruita  nella necropoli paleocristiana,  il cuore della devozione e il luogo dove Cristina riposava. Nel 1851, si diede  mano alla sistemazione della Grotta di santa Cristina e degli adiacenti  ambulacri cimiteriali, in gran parte interrati e riutilizzati come pubblico  cimitero. I lavori furono però ben presto sospesi per i costi eccessivi.
 
Nel 1879, dismesso l'uso di seppellire in quel luogo, il canonico  Ferdinando Battaglini si dedicò, con costanza,allo spurgo degli ambulacri della  catacomba. Finanziamenti pubblici e privati sostennero l'iniziativa che  coinvolse poi insigni archeologi come Enrico Stevenson, Adolfo Cozza e Giovani  Battista De Rossi. Lo scavo fu tutto ricco di nuove conoscenze sulla necropoli  ma soprattutto lo fu quello condott da Enrico Stevenson, iniziata il 2 agosto  1880.  L'archeologo osservando le  particolari tipologie architettoniche della basilichetta in relazione alla  catacomba , così concluse: " Io non dubito punto che le condizioni  speciali dell'edificio sieno dovute precisamente alla presenza [ sotto l'altare  ] del corpo della martire eponima  del luogo, santa Cristina ". La  tradizione locale e l'archeologo avevano ragione: la tomba della martire venne  ritrovata dove indicato, il mattino del 5 agosto 1880. E' bello cogliere  l'euforia e l'entusiasmo per la scoperta, leggendo una testimonianza oculare di  don Ferdinando Battaglini, in una lettera inviata all'abate Giuseppe Cozza  Luzi, appena due giorni dopo la scoperta.
 
“Avrei voluto scriverle prima per darle  contezza delle nostre scavazioni e scoperte di Archeologia sacra, ma siccome  non avea nulla d’interessante, e le cose più importanti le conosceva già o per  mezzo delle mie lettere, o per bocca dello Stevenson, ho perciò trascurato di  scriverle fino ad oggi. Al presente sarebbe però una colpa il tacere; dopo certi successi, dopo tali  avvenimenti, è impossibile non parlare non scrivere. Sono persuaso che ella  dopo il telegramma ricevuto il giorno cinque, stia in grande aspettazione di  notizie: io vengo con la presente a soddisfare i suoi giusti desideri.
 Comincerò quindi dal dirle che abbiamo trovato il tanto desiderato Corpo di S. Cristina. Eccone brevemente l’istoria. Quando si  spurgava l’ambulacro delle Catacombe che gira dietro l’abside della Grotta di  S. Cristina, si scoperse una strada tagliata in mezzo ai loculi. Questa posta  nel centro di detto abside, salisce fino dentro il piano della grotta e va alla  volta dell’altare. Venne tosto alla mente che quella fosse l’antica via che  conduceva al Sepolcro di S. Cristina. Il lavoro fu sospeso per causa della  stagione troppo calda, col desiderio di riprenderlo a settembre e di vedere  dove quella via ci conducesse, e se potevasi trovare vestigia del sepolcro.
 Fu questa la decisione, ma poi non è stato più così. Trovandosi qui in Bolsena  il Conte Adolfo Cozza suo cugino onde riprendere lo spaccato delle catacombe e  delle pitture che vi sono, questi cominciò giorni fa a stimolare il Preposto  [don Domenico Daddi] perché facesse lo scavo della strada e vedesse di poter  penetrare da qualche parte sotto l’altare di S. Cristina morta. Il Preposto  volendo compiacerlo ordinò che si praticasse il taglio del piancito in quello  spazio che corre tra l’abside e l’altare. Eseguito il lavoro, si trovò sospesa  in aria la piccola via che viene dalle catacombe, ed un vuoto fino alla  profondità di un uomo e più, si vide che il taglio andava sotto l’altare. Si  procedette avanti e si incontrò un muro durissimo. Il giorno quattro agosto si  incominciò a romperlo a forza di scalpello, ma solo la mattina del cinque si  poté aprire un piccolo forame. Introdotta una candela si poté discernere  un’urna grande di pietra simile ad un sarcofago etrusco, e dentro quella  un’urna di marmo bianco coperta col frammento di un’antica iscrizione forse  pagana, ed allacciata da tre lati con grappi di ferro impiombati, ma guasti  dall’ossido. Fu sospeso tutto il lavoro. Si telegrafò a Lei, a Stevenson e a  Gamurrini; il Preposto insieme con il signor Adolfo intanto partivano per  Orvieto onde sentire le disposizioni della Curia.
 La mattina del sei il Preposto ritornò col medesimo conte Adolfo, e dietro  questi venne la commissione ecclesiastica ed anche il sig. Luigi Fumi di  Orvieto. Nella mattina si presero tutte le precauzioni necessarie, onde per la  rottura dei muri non avesse a soffrire l’altare, e la sera circa le tre, fatte  le solite formalità volute della legge, alla presenza della Commissione  Ecclesiastica e della Giunta municipale, e di molti testimoni del ceto  ecclesiastico e secolare si cominciò la rottura del muro. Si dovettero levare a  gran fatica pietre grossissime, ed il lavoro durò quasi tre ore. Finalmente si  trovò che la grande cassa di pietra era stata rotta dalla parte posteriore, e  quella rottura, forse artefatta, era stata chiusa con una grande lastra di  pietra, rimossa la quale si vide tutta intera l’urna di marmo.
 Non le starò a dire le formalità per la ricognizione del luogo, dell’urna, le  misure etc. ella già può immaginarle. I lavori erano diretti tutti dal conte  Adolfo. Estratta l’urna di marmo venne condotta entro la chiesa del miracolo e  posta sopra un tavolino. Sopra come le ho già detto era chiusa da un frammento  di antica iscrizione Romana, adattata per coperchio, e giusta fermata con grappi  di ferro impiombati. L’ossido però aveva corroso e stritolato il piombo ed i  ferri in guisa che furono tolti con poca fadiga. Aperta l’urna, si vide tosto  che essa conteneva una quantità di ossa, e queste erano collocate dentro una  contro cassa di legno, però tutto infradiciato e cadente. Le ossa grosse  mancano quasi tutte, meno un pezzo di braccio, si vedono le ossa dei piedi e  delle mani ed altre ossa delle spalle etc. Non fu toccato niente. Fatta la  ricognizione alla presenza delle suddette Commissioni e testimoni, fu chiusa  dentro una credenza della Curia. Presente alla lavorazione, si trovò ancora la  sig.ra Contessa sua madre, Barberina, Adelina ed il sig. Lamberto.
 Quest’urna di marmo porta davanti un’iscrizione scolpita entro un quadratino  scorniciato, ed è così concepita
 + I.R.q.E.S.
 C.P.B.A.T.X.M.
 La spiegazione al principio difficile, fu poscia interpretata dal sig. Luigi  Fumi, e quindi dagli altri in questa guisa: Hic Requiescit Corpus Beatae Christinae  Martiris. Confrontata con  l’iscrizione che trovasi in Toscanella [Tuscania], si vede che è la medesima,  con questa sola differenza, che quella è scritta tutta, e questa porta soltanto  le iniziali delle sillabe, cioè hic-re-qui-e-scit-Cor-pus-be-a-tae-X.M. Non è a dire i problemi che presentano dinanzi  a questa invenzione! Qui bisogna eccitare un movimento tra gli archeologi. De  Rossi potrebbe metterci le mani anch’esso; se si suscitano le questioni io non  so dove andremo a finire. Fu realmente un tempo rubato il corpo di S. Cristina?  Io credo di sì, perché realmente mancano quasi tutte le ossa più grosse  cominciando dalla testa; e chi la rubò, se ben si considera non poté attaccarsi  alle ossa minute. Il Pennazzi dice che la testa trovasi a S. Maria Maggiore, è  vero? Padre abate mio, qui bisogna che anche ella vi metta le mani, bisogna  battere il ferro quando è caldo, e poiché la nostra S. Concittadina si è fatta  conoscere, è segno che vuole qualche cosa da noi. Basta, aspettiamo i decreti  della Sacra Congregazione e poi parleremo. Intanto la cosa per ora la  raccomandiamo a lei. In Roma si adoperi più che può onde questa Santa venga  glorificata, ed il suo culto quasi negletto dovunque ripristinato. Ho detto  troppo? Mi perdoni, è un giorno in cui dura ancora un po’ di esaltazione  mentale.
 Perdoni lo stile, perché dovendosi dir troppe cose in una lettera, non è  possibile tener dietro a tutto. Spero mi compatirà.
 Riceva i saluti di tutta la nobilissima sua famiglia. Riceva i saluti di Don  Alessandro e di tutti i miei e mi creda di lei Illustrissimo Reverendissimo  Monsignore Dev.mo Aff.mo servitore.
 P.S. Le mando un calco dell’iscrizione, è venuta poco bene sia perché presa in  fretta, sia perché un ferro impediva di riprendere la lettera q. tuttavia si  capisce sufficientemente.
 ”
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          |  Pola de Lena, interno della chiesa di Santa Cristina
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          |  Torino, chiesa di Santa Cristina
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          |  Saint Flour, chiesa di Santa Cristina
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          |  Cantoira, Santuario di Santa Cristina
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